NULLO IL REGOLAMENTO CNF SULLE SPECIALIZZAZIONI FORENSI



Il Tar Lazio ha dichiarato nullo il "regolamento per il riconoscimento del titolo di avvocato specialista", approvato dal Consiglio Nazionale Forense il 24 settembre 2010. La sentenza, depositata il 9 giugno 2011, dichiara la radicale nullità del regolamento sulle specializzazioni forensi per "accertata assoluta carenza di attribuzione in capo al CNF della regolamentazione assunta con il gravato provvedimento". (FONTE avvocati-part-time.it e giustizia-amministrativa.it)


SENTENZA 5151 DEL 9 GIUGNO 2011 DEL TAR LAZIO SULLE SPECIALIZZAZIONI FORENSI

N. 05151/2011 REG.PROV.COLL.
N. 08807/2010 REG.RIC.
R E P U B B L I C A I T A L I A N A
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8807 del 2010, proposto da:
…..... rappresentati e difesi dall'avv. ..., presso lo studio del quale elettivamente domiciliano in Roma, via .......;
contro
Consiglio nazionale forense - CNF, rappresentato e difeso dagli avv.ti ..., con domicilio eletto presso lo studio del secondo in Roma,.....;
Autorita' garante della concorrenza e del mercato, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso la cui sede domicilia in Roma, via dei Portoghesi, n.12;
nei confronti di
Associazione Avvocati Giuslavoristi Italiani - AGI, Associazione Italiana Avvocati per la Famiglia - AIAF, Unione Camere Penali Italiane – UCPI, Unione Nazionale Camere Avvocati Tributaristi – UNCAT, Societa' Italiana Avvocati Amministrativisti – SIAA, rappresentate e difese dagli avv.ti ........, con domicilio eletto presso lo studio dell’ultimo in Roma, via ...;
Unione Nazionale Camere Civili- UNCC;
per l'annullamento:
- del “regolamento per il riconoscimento del titolo di avvocato specialista” approvato
dal CNF
nella seduta amministrativa del 24 settembre 2010;
- di ogni altro atto antecedente, presupposto, consequenziale ed in ogni caso lesivo
dei diritti e degli interessi dei ricorrenti.
Visto il ricorso;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Consiglio nazionale forense;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Associazione Avvocati Giuslavoristi Italiani,
Associazione Italiana Avvocati per la Famiglia, Unione Camere Penali Italiane,
Unione Nazionale Camere Avvocati Tributaristi e Societa' Italiana Avvocati
Amministrativisti;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Autorita' garante della concorrenza e del
mercato;
Viste le memorie difensive;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del 6 aprile 2011 il cons. Anna Bottiglieri e uditi per le
parti i difensori come da relativo verbale;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.
FATTO
Con ricorso notificato in data 15 ottobre 2010, depositato il successivo 19 ottobre, gli
istanti, premesso di essere tutti avvocati iscritti all’albo professionale tenuto presso
l’Ordine di Roma, espongono che il regolamento approvato dal Consiglio nazionale
forense nella seduta amministrativa del 24 settembre 2010, che, a partire dal 30
giugno 2011, introduce e disciplina le condizioni e le modalità per il riconoscimento
ed il mantenimento in capo agli avvocati del titolo di avvocato specialista, in un
massimo di due materie tra le undici aree del diritto ivi individuate, è lesivo della loro
professionalità.
Ciò in quanto, proseguono i ricorrenti, il provvedimento, senza alcuna base
normativa, realizza una vera e propria riforma dell’ordinamento professionale,
incidente, sia pur su base volontaria, sul lavoro di ciascun professionista, con ricadute
anche economiche di assoluto rilievo sul piano della concorrenza, poichè, da un lato,
convoglia l’offerta al pubblico delle prestazioni professionali, dall’altro istituisce il
nuovo mercato della formazione dell’avvocato specialista. I ricorrenti stigmatizzano
anche che a mezzo del provvedimento il CNF, che attualmente gestisce il solo albo
degli avvocati cassazionisti, si è indebitamente auto-assegnato la tenuta di undici
elenchi di specialisti nelle predette materie, nonché di un registro delle associazioni,
costituite tra avvocati specialisti, abilitati all’istituzione e gestione delle scuole e dei
corsi di alta formazione propedeutici al conseguimento della specializzazione.
Di tale regolamento i ricorrenti espongono indi l’illegittimità e domandano
l’annullamento, deducendo, a sostegno della domanda, le doglianze di seguito
illustrate nei titoli e, sinteticamente, nel contenuto.
1) Violazione e falsa applicazione degli artt. 3, comma 1, 4, comma 2, del d. lgs.
30/2006, 54 e 91 del r.d. 1578/1933, convertito dalla l. 36/1934, 48 del d. lgs.
59/2010, con riferimento all’art. 1 delle preleggi – nullità ex art. 21 septies della l.
241/90 per difetto di attribuzione ed incompetenza assoluta.
Il CNF, organo giurisdizionale con limitate funzioni amministrative, è del tutto
carente di potestà regolamentare nella materia de qua, attribuita con la riforma del
Titolo V della Costituzione alla legislazione concorrente, spettando alla legge dello
Stato, in sede di determinazione dei principi fondamentali, la individuazione delle
figure professionali, con conseguente nullità e comunque annullabilità del
provvedimento impugnato. Del resto, il divieto posto dall’art. 91 del r.d. 1578/1933,
secondo il quale alle professioni di avvocato e procuratore non si applicano le norme
che disciplinano la qualifica di specialista nei vari rami di esercizio professionale, può
essere superato esclusivamente a mezzo di una legge dello Stato, ed è in corso di
esame da parte del Parlamento il d.d.l. recante la nuova disciplina dell’ordinamento
della professione forense, il quale, pur facendo venir meno il divieto in parola, non
attribuisce affatto al CNF poteri quali quelli previsti dal regolamento.
2) Eccesso di potere per sviamento – violazione dei principi di libera concorrenza nei
servizi – carenza di attività istruttoria
Non sussiste una norma che attribuisce al CNF, che è organo giurisdizionale, la
facoltà di regolamentare l’interesse pubblico, addotto dal regolamento, a tutelare
l’affidamento della collettività e garantire la qualità delle prestazioni professionali
mediante l’istituto delle specializzazioni, vieppiù senza alcun criterio e parametro
predeterminato ovvero senza una effettiva e oggettiva attività istruttoria. Il
regolamento, anche mediante l’introduzione di un regime transitorio arbitrario ed
illogico, legittima pratiche distorsive, restrittive e discriminative della concorrenza, in
violazione del principio comunitario di concorrenza, che esige una distinzione tra la
regolazione autoritativa delle attività private, appannaggio di soggetti pubblici,
espressivi di interessi generali, e le norme di autodisciplina degli interessi che possono
essere dettate dagli stessi privati interessati. Il regolamento viola il principio di
concorrenza come delineato in sede comunitaria anche perché in detta sede sono
tollerate esclusivamente misure restrittive di grado minimo, imprescindibili per
raggiungere l’obiettivo di interesse generale assunto dal soggetto pubblico, secondo
un criterio di proporzionalità, nella specie totalmente carente. Il regolamento, oltre ad
essere stato assunto anche in palese sviamento di potere, è altresì inopportuno, tenuto
conto che esso è intervenuto a soli tre mesi di distanza dal rinnovo dei componenti
del CNF, e senza aver atteso le determinazioni del XXX Congresso nazionale
forense.
3) Violazione di legge per la distorsione dei principi di libera iniziativa economica ex
art. 41 Cost., nonché di quelli anche di matrice comunitaria relativi alla tutela della
concorrenza – violazione dell’art. 97 Cost. e dei principi d’imparzialità, sviamento per
cinismo amministrativo per la definizione gerontocratica del titolo di specialista ai
danni degli avvocati con minore anzianità d’iscrizione all’albo – violazione e falsa
applicazione dell’art. 3, comma 1 del d. lgs. 30/2006 – eccesso di potere per illogicità
ed irragionevolezza.
Il regolamento, adottando una obsoleta visione gerontocratica della professione,
introduce una disciplina distorsiva della concorrenza, in quanto prevede tout court il
divieto per i giovani avvocati nei primi sei anni di professione di conseguire il titolo di
specialista.
4) Violazione e falsa applicazione di legge per la distorsione dei principi di libera
iniziativa economica, di quelli anche di matrice comunitaria in tema di concorrenza,
eccesso di potere per sviamento e per cinismo amministrativo per la possibilità
prevista, con disciplina di diritto transitorio, di semplificare il conseguimento di titolo
di specialista soltanto in capo ai professionisti con maggior anzianità di iscrizione
all’albo – eccesso di potere per irragionevolezza e difetto di istruttoria.
Il regolamento per un verso penalizza in modo irrazionale i giovani avvocati, per altro
verso introduce un regime transitorio per gli avvocati iscritti all’albo da più di venti
anni, che, ancorchè vessatorio ed inutile, risulta per essi semplificato e vantaggioso, in
quanto consente di conseguire il titolo di specialista per il solo fatto della anzianità di
iscrizione, senza alcuna motivazione o ragione logica e razionale. Il termine di venti
anni per accedere automaticamente alla specializzazione risulta irrazionale ed illogico
anche nei confronti degli avvocati in possesso del titolo di cassazionista, per
conseguire il quale occorrono dodici anni.
5) Violazione di legge per la distorsione dei principi di libera iniziativa economica e di
quelli anche di matrice comunitaria di concorrenza, eccesso di potere per cinismo
amministrativo per la illogica, irrazionale e non motivata predeterminazione di un
numero massimo di specializzazioni in astratto conseguibili da ciascun professionista
– violazione dell’art. 3 della l. 241/90.
Il regolamento disciplina, senza trovare alcun eguale negli ordinamenti di altre
professioni (ad. es. nella professione medica), una illogica limitazione del numero
massimo (due) di specializzazioni conseguibili dai professionisti, i quali, vieppiù,
ricorrendone le condizioni, possono avvantaggiarsi della disciplina transitoria
agevolata per il conseguimento di una sola di esse.
6) Eccesso di potere per illogicità e disparità di trattamento.
Il regolamento indica tra le specializzazioni aree del diritto effettivamente
specialistiche e macroaree o settori di diritto (amministrativo, penale), con
conseguente disparità di trattamento tra professionisti ed indebito vantaggio di quelli
che, conseguendo la specializzazione in una di tali macroaree, possono fregiarsi del
titolo per tutte le aree in essa ricomprese.
7) Eccesso di potere per la violazione del principio di sussidiarietà.
Il regolamento, nell’affidare ai consigli dell’ordine compiti molto limitati, viola il
principio di sussidiarietà fatto proprio dal vigente ordinamento professionale,
incentrato proprio sul ruolo centrale degli ordini professionali, nonché esprime una
visione accentrata ed autarchica dell’ordinamento professionale.
8) Eccesso di potere in ordine ai criteri per la verifica delle qualità delle prestazioni
assicurate dagli enti formatori.
Il regolamento, laddove elargisce l’iscrizione immediata e di diritto all’elenco dei
formatori a sole sei associazioni (riconosciute maggiormente rappresentative dal
Congresso nazionale forense), e, al contempo, non riconosce immediata validità ed
efficacia alle specializzazioni universitarie, lede il principio della pluralità dell’

offerta.
9) Eccesso di potere per l’irrazionalità e la irragionevolezza dei criteri fissati nel
regolamento per la nomina dei componenti della commissione esaminatrice.
Il regolamento viola le garanzie di imparzialità e terzietà delle commissioni
esaminatrici, laddove determina l’inammissibile commistione consistente nella
previsione che due dei cinque componenti delle commissioni incaricate dell’esame
propedeutico al rilascio del titolo di specializzazione siano nominati dall’associazione
specialistica competente.
10) Eccesso di potere per genericità, illogicità ed irrazionalità dei requisiti richiesti

alle
associazioni.
Il requisito della diffusione territoriale posto alle associazioni specialistiche ai fini
dell’iscrizione al registro dei formatori premia, in violazione del principio di
sussidiarietà, le organizzazioni più imponenti, e nulla dice in ordine alla qualità
dell’offerta formativa.
11) Eccesso di potere per illogicità ed irrazionalità dei requisiti richiesti alle
associazioni.
Il regolamento aggrava irrazionalmente gli obblighi formativi in capo al coloro che
hanno conseguito il diploma di specialista, prevedendo per il mantenimento della
specializzazione il conseguimento di 120 crediti formativi nel triennio, in luogo dei 90
crediti richiesti agli altri professionisti.
12) Eccesso di potere per il contrasto tra il regolamento sulle specializzazioni ed il
vigente codice deontologico forense – eccesso di potere per sviamento e per l’illogica
e irrazionale proliferazione delle aggettivazioni in capo al titolo di avvocato – eccesso
di potere per il mancato riconoscimento del titolo di specialista ai soggetti così
qualificati in ambito universitario in contrasto con la vigente previsione del codice
deontologico – illegittimità del regolamento nella parte in cui esclude di fatto gli
iscritti all’albo speciale della possibilità di conseguire il titolo di specialista.
Nel vigente ordinamento della professione legale il titolo di specialista stride con le
previsioni deontologiche, generando confusione e distorsioni concorrenziali, in
violazione anche dei principi di libertà di stabilimento ed esercizio professionale da
parte degli avvocati comunitari. Il ruolo assegnato alla formazione post universitaria è
irrisorio. Nei fatti è impedito agli iscritti all’albo speciale il conseguimento del titolo

di
avvocato specialista, per l’impossibilità di ottenere dalle amministrazioni di
appartenenza permessi per almeno 200 ore/anno.
Conclude parte ricorrente insistendo per l'accoglimento del gravame, con
conseguente annullamento del regolamento oggetto di censure.
Si è costituita in resistenza senza formulare specifiche difese l’Autorita' garante della
concorrenza e del mercato.
Si è costituito in giudizio il Consiglio nazionale forense, eccependo l'infondatezza
delle esposte doglianze ed instando per la reiezione dell'impugnativa.
Analoghe conclusioni sono state rassegnate anche dalle controinteressate
Associazione Avvocati Giuslavoristi Italiani - AGI, Associazione Italiana Avvocati
per la Famiglia - AIAF, Unione Camere Penali Italiane – UCPI, Unione Nazionale
Camere Avvocati Tributaristi – UNCAT, Societa' Italiana Avvocati Amministrativisti
– SIAA, individuate nel regolamento in questione come soggetti aventi tiolo, sin
dall’anno accademico 2010-2011, ad espletare il corso di durata biennale, per un
minimo di 200 ore complessive di frequenza, propedeutico all’esame di specialista
presso il CNF.
Nell’ambito delle predette difese, sono state spiegate anche varie eccezioni di
carattere pregiudiziale.
Le parti hanno affidato a memorie lo sviluppo delle proprie tesi difensive.
La causa è stata indi trattenuta in decisione alla pubblica udienza del 6 aprile 2011.
DIRITTO
1. Si controverte in ordine alla legittimità del regolamento, approvato dal Consiglio
nazionale forense nella seduta amministrativa del 24 settembre 2010, che, a partire dal
30 giugno 2011, introduce e disciplina, anche a mezzo di un regime transitorio, le
condizioni e le modalità per il riconoscimento ed il mantenimento in capo agli
avvocati, a domanda, del titolo di avvocato specialista, in un massimo di due materie
tra le undici aree del diritto ivi indicate, suscettibili di successivi aggiornamenti.
Limitando, per economicità di mezzi espositivi, la descrizione del provvedimento
impugnato, composto di 14 disposizioni molto articolate, va rappresentato che, a
regime, secondo il regolamento, il titolo di avvocato specialista, che consiste nel
rilascio di un diploma e nell’inserimento in appositi registri pubblici tenuti dal
Consiglio nazionale forense, attesta l’acquisizione nelle predette aree di diritto, in
capo all’avvocato ininterrottamente iscritto all’albo da almeno sei anni, ed in possesso
di ulteriori requisiti, tra cui la frequenza biennale di una scuola o di un corso di alta
formazione riconosciuti dal CNF e tenuti da enti o soggetti iscritti in apposito registro
del CNF, per un minimo di 200 ore complessive, nonché all’esito di apposito esame
sostenuto con esito favorevole presso il CNF, di una “specifica e significativa competenza
teorica e pratica, il cui possesso è attestato da apposito diploma rilasciato esclusivamente

dal
Consiglio nazionale forense e che deve essere conservata nel tempo secondo il principio

della
formazione continua” (art. 2).
La controversia è proposta dagli avvocati ricorrenti, iscritti all’albo professionale
tenuto presso l’Ordine di Roma, che, esposta la lesività del provvedimento nei
confronti della loro professionalità, ne deducono la nullità e l’annullabilità per vari
profili, tra cui, in primis, il difetto di attribuzione in capo al CNF di potestà
regolamentare nella materia de qua.
Resiste il Consiglio nazionale forense.
Resistono, altresì, le controinteressate Associazione Avvocati Giuslavoristi Italiani -
AGI, Associazione Italiana Avvocati per la Famiglia - AIAF, Unione Camere Penali
Italiane – UCPI, Unione Nazionale Camere Avvocati Tributaristi – UNCAT, Societa'
Italiana Avvocati Amministrativisti – SIAA.
Queste ultime, unitamente alla Unione Nazionale Camere Civili-UNCC, alla luce
dell’impugnato regolamento (art. 11), hanno titolo in sede di prima applicazione ad
espletare i corsi propedeutici al sostenimento dell’esame di specialista presso il CNF.
2. Com’è d’uopo il Collegio deve prioritariamente affrontate le questioni pregiudiziali.
2.1. Va respinta l’eccezione di carenza di interesse all’impugnazione, formulata dalle
nominate associazioni, che, sottolineato che il regolamento è destinato ad operare
esclusivamente a domanda, laddove il professionista intenda fregiarsi del titolo di
avvocato specialista, sostengono che il regolamento non incide ex se sull’esercizio
della professione legale come disciplinata dalla vigente normativa, difettando così di
potenzialità lesiva della sfera dei ricorrenti, i quali, al più, potrebbero venirne incisi
sotto un profilo di mero fatto, che non può trovare tutela nella sede adita.
L’eccezione non può essere condivisa né nell’impianto né nelle conclusioni.
E’ noto che secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, nel processo
amministrativo l'interesse a ricorrere è caratterizzato dalla presenza degli stessi
requisiti che qualificano l'interesse ad agire di cui all'art. 100 c.p.c., vale a dire dalla
prospettazione di una lesione concreta ed attuale della sfera giuridica del ricorrente e
dall'effettiva utilità che potrebbe derivare a quest'ultimo dall'eventuale annullamento
dell'atto impugnato, dovendo il ricorso essere considerato inammissibile per carenza
di interesse laddove l'annullamento giurisdizionale di un atto amministrativo non sia
in grado di arrecare alcun vantaggio all'interesse sostanziale del ricorrente (C. Stato, V,
4 marzo 2011, n. 1734).
Tali coordinate interpretative vanno calate nella fattispecie in esame apprezzando gli
effetti discendenti dal gravato provvedimento, alla cui luce verificare sia se sussiste la
lesione della sfera giuridica dei ricorrenti paventata in gravame, sia se i medesimi
deriverebbero un vantaggio dall’accertamento della ricorrenza dei vizi dedotti e dalla
conseguente statuizione giurisdizionale demolitoria del provvedimento stesso.
In tale percorso, si osserva che il regolamento assume espressamente lo scopo di
“tutela dell’affidamento della collettività” (art. 7, comma 5), e ricollega altrettanto
espressamente al rilascio del titolo di specializzazione, “esclusivamente dal Consiglio
nazionale forense”, l’attestazione, nei confronti del professionista già iscritto all’

ordine,
di “una specifica e significativa competenza teorica e pratica”, in relazione alle

considerate aree
di diritto (art. 2).
E’ pertanto innegabile che il regolamento introduce una nuova, ulteriore e precipua
qualificazione, con carattere di esclusività, attinente all’esercizio dell’attività forense,
che si aggiunge, innovandola e arricchendola, a quella già attestata dall’iscrizione
all’ordine, che, laddove protrattasi ininterrottamente per un dato periodo, ne
costituisce solo uno dei presupposti.
Tale qualificazione si risolve in una ben precisa differenziazione – che assume
rilevanza esterna essendo pubblicata a cura del CNF e spendibile sia nei rapporti tra
avvocati e clienti sia nei rapporti tra gli stessi avvocati, ed è connotata dal carattere
meritocratico testimoniato dalla frequenza dei corsi e dal superamento dell’esame da
svolgersi presso il CNF – della posizione dei professionisti, già abilitati all’esercizio
della professione legale, i quali, sussistendone le condizioni e sottomettendosi agli
oneri, anche economici, recati dal provvedimento, conseguono il titolo, vedendosi in
tal modo riconoscere un ampliamento di matrice pubblicistica delle attestazioni a loro
favore, rispetto a quelli che ne restano privi, o per non aver assunto gli oneri stessi o
per averli assunti senza esito positivo.
Ne deriva che non può porsi fondatamente in dubbio che è l’intera classe forense ad
essere destinataria della nuova conformazione dell’attività professionale recata dal
provvedimento.
In particolare, l’avvocato iscritto all’ordine forense, anche laddove, essendo in
possesso dei prescritti requisiti, assuma volontariamente di non dotarsi del titolo di
specializzazione, non perciò stesso può ritenersi giuridicamente indifferente alle scelte
operate dal provvedimento, del quale è comunque destinato a risentire direttamente
gli effetti, in termini di sopraggiunta scomparsa dell’elemento di apicalità del percorso
professionale precedentemente rappresentato dalla sola iscrizione all’albo, superato
dal possesso del titolo di avvocato specialista.
Conseguenzialmente, risulta pienamente ammissibile la domanda avanzata in questa
sede dagli avvocati ricorrenti, tutti iscritti all’ordine professionale, di verifica

giudiziale
della conformità a legge dell’atto impugnato, che risulta preordinata all’utilità
consistente nel mantenimento delle prerogative così come discendenti dall’iscrizione
all’ordine.
Ed è evidente che, risolvendosi nella richiesta di tutela di un'attività professionale il
cui esercizio è dal vigente ordinamento condizionato all'iscrizione in un albo, e che è
volta al mantenimento delle stesse condizioni da esso ordinamento precedentemente
assicurate, va anche escluso che, come in subordine sostenuto dagli eccepenti, il
sottostante interesse possa qualificarsi come di mero fatto.
2.2. Le controinteressate associazioni ed il CNF eccepiscono altresì l’inammissibilità
del gravame per la sussistenza di posizioni autonome e configgenti tra i ricorrenti
(con particolare riferimento alla presenza o meno in capo ai ricorrenti dei requisiti che
consentono di avvalersi della procedura prevista dal regolamento impugnato).
Neanche tale eccezione è conducente.
Rilevato che, in un ricorso collettivo, la ricorrenza dell’eventuale conflitto tra le
posizioni dei ricorrenti va scrutinata in relazione all'interesse astrattamente perseguito
(C. Stato, VI, 9 febbraio 2009, n. 710), osserva il Collegio che nella fattispecie non
ricorre alcun conflitto, avendo i ricorrenti tutti adito la tutela giudiziale vantando la
stessa qualità di iscritti all’ordine professionale, ed a difesa delle prerogative allo

stato
da tale iscrizione discendenti per ciascuno di essi.
La identità dell’interesse, di rilievo giuridico, speso in giudizio rende del tutto
indifferente la eventuale diversificazione della concreta posizione dei ricorrenti
rispetto alle disposizioni introdotte con il regolamento impugnato.
Tale elemento, infatti, viene in rilievo esclusivamente in sede di applicazione del
regolamento impugnato, ed è pertanto suscettibile di essere travolto dall’accoglimento
del gravame e dal conseguente annullamento dell’atto.
3. Ulteriori eccezioni pregiudiziali sono state dalle parti resistenti spiegate in relazione
a singoli motivi di ricorso.
Il Collegio può, peraltro, senz’altro prescindere dal loro esame, atteso che il primo
motivo di ricorso, con il quale i ricorrenti denunziano la assoluta carenza di
attribuzione in capo al CNF a regolare la materia de qua, per il quale non si pone
alcuna questione pregiudiziale, e che presenta carattere assorbente, è fondato.
4. Ai sensi del terzo comma dell’art. 117 Cost., come sostituito dall'art. 3 della legge
costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, la materia delle professioni appartiene alla
legislazione concorrente dello Stato e delle Regioni.
Con legge 5 giugno 2003, n. 131, sono state dettate disposizioni per l’adeguamento
dell’ordinamento alla predetta legge costituzionale n. 3 del 2001.
L’art. 1 della ridetta legge 131/2003, ribadito al comma 3 che nelle materie
appartenenti alla legislazione concorrente, le Regioni esercitano la potestà legislativa
nell'àmbito dei princìpi fondamentali espressamente determinati dallo Stato o, in
difetto, quali desumibili dalle leggi statali vigenti, ha delegato al comma 4, il Governo
ad adottare, entro tre anni dalla data di entrata in vigore della legge, uno o più decreti
legislativi ricognitivi dei princìpi fondamentali che si traggono dalle leggi vigenti, nelle
materie previste dall'articolo 117, terzo comma, Cost..
La ricognizione dei princìpi fondamentali in materia di professioni è intervenuta con
d. lgs. 2 febbraio 2006, n. 30.
In tale ambito, chiarito dall’art. 3, titolato “Tutela della concorrenza e del mercato”, che
l’esercizio della professione si svolge nel rispetto della disciplina statale della tutela
della concorrenza, ivi compresa quella delle deroghe consentite dal diritto
comunitario a tutela di interessi pubblici costituzionalmente garantiti o per ragioni
imperative di interesse generale, della riserva di attività professionale, delle tariffe e

dei
corrispettivi professionali, nonché della pubblicità professionale (comma 1), recita
l’art. 4, comma 2, che “La legge statale definisce i requisiti tecnico-professionali e i

titoli
professionali necessari per l'esercizio delle attività professionali che richiedono una

specifica
preparazione a garanzia di interessi pubblici generali la cui tutela compete allo Stato”.
Resta pertanto affermato che, anche in relazione alla tutela della concorrenza, è la
legge statale a dover individuare i requisiti tecnico-professionali ed i titoli
professionali necessari per l’esercizio delle attività che richiedono una specifica
preparazione a garanzia di interessi pubblici generali.
In particolare, secondo la costante giurisprudenza della Corte Costituzionale,
principio fondamentale in materia di professioni è la riserva a favore dello Stato per
l’individuazione di nuove figure professionali e la disciplina dei relativi profili e titoli
abilitanti, nonché della istituzione di registri professionali e la previsione delle
condizioni per l’iscrizione ad essi" (da ultimo, Corte Cost., 15 aprile 2010, n. 132).
5. Chiarito il quadro normativo in cui si inserisce la controversia, il Collegio ritiene
anzitutto di precisare, in via preliminare, che nella presente fattispecie va tenuta in
disparte ogni questione di merito attinente l’opportunità o l’utilità della introduzione
di una disciplina delle specializzazioni dell’attività forense, notoriamente non rimessa
a questa sede.
Altrettanto è a dirsi in ordine alla necessità che l’ordinamento appresti utili misure per
affrontare le “auto-proclamazioni” pubblicitarie di inesistenti specializzazioni forensi,
descritto dalle parti resistenti: la problematica, di cui non si intende sminuire né la
portata né la negativa incidenza sull’interesse pubblico generale all’amministrazione
della giustizia e sul diritto di difesa in giudizio, non può, però, evidentemente rilevare
in tema di individuazione del soggetto pubblico competente all’individuazione ed
all’adozione delle misure stesse.
6. Tanto premesso, ed in relazione al sopra descritto quadro normativo, dal quale
emerge graniticamente che la materia de qua è riservata al legislatore statale, osserva il
Collegio che non risulta che il medesimo abbia esercitato detta riserva, né riformando
direttamente l’ordinamento della professione forense, sede propria per l’introduzione
di un istituto, quale quello delle specializzazioni, prima inesistenti, destinato ad
innovare profondamente i termini dello svolgimento dell’attività, né attribuendo al
CNF la competenza ad adottare in via regolamentare la disciplina delle
specializzazioni della professione legale.
Di talchè al Collegio non è dato comprendere da quale fonte normativa il CNF abbia
derivato la potestà, esercitata con l’atto impugnato, di creare ex novo una figura
professionale precedentemente non contemplata dal vigente ordinamento – quella
dell’avvocato specialista – che si aggiunge alle figure dell’avvocato iscritto all’albo e
dell’avvocato abilitato al patrocinio dinanzi alle giurisdizioni superiori.
6.1. Al riguardo, infatti, a nulla vale sostenere, come fanno le parti resistenti, che la
figura professionale dell’avvocato, anche dopo l’introduzione delle specializzazioni,
“rimane assolutamente unica”, potendo comunque il professionista forense, dopo il
superamento dell’esame di Stato, e l’iscrizione all’albo degli avvocati, “svolgere la
propria attività professionale in tutti i settori dell’ordinamento indipendentemente
dall’aver partecipato alla procedura prevista per il conseguimento del titolo
qualificante di specialista”.
La valenza istitutiva di nuove figure professionali della impugnata normativa si
desume infatti pacificamente dalla circostanza che il gravato regolamento prevede
l’istituzione da parte del CNF di appositi registri pubblici ove possono iscriversi, sulla
base del verificato possesso di specifici requisiti attestanti una determinata
qualificazione professionale, gli avvocati specialisti nelle considerate aree di diritto
(art. 5, comma 2).
Come ripetutamente chiarito dalla Corte Costituzionale, la stessa istituzione di un
registro professionale e la previsione delle condizioni per l'iscrizione ad esso,
prescindendosi dalla circostanza che tale iscrizione si caratterizzi o meno per essere
necessaria ai fini dello svolgimento della attività cui l'elenco fa riferimento, hanno, già
di per sé, “una funzione individuatrice della professione” (sentenze n. 57 del 2007; n.
355 del 2005; n. 300 del 2007).
6.2. Né, ai fini dell’esame della presente controversia, occorre spendere molte parole
in punto di accertamento della natura, e dei poteri, anche amministrativi, del CNF,
ovvero in ordine ai c.d. regolamenti “liberi” previsti dall'art. 17, comma 1, lett. c),
della l. 23 agosto 1988, n. 400 [ovvero di quei regolamenti che derogano al principio
generale secondo cui il potere regolamentare, espressione di una potestà normativa,
secondaria rispetto alla potestà legislativa, e disciplinante in astratto tipi di rapporti
giuridici mediante una regolazione attuativa o integrativa della legge, ma ugualmente
innovativa rispetto all'ordinamento giuridico esistente, con precetti aventi i caratteri
della generalità e dell'astrattezza, rispondendo a regole di stretta tipicità, deve sempre
trovare nella legge la propria legittimazione (C. Stato, Atti norm., 7 giugno 1999, n.
107)], ovvero dei regolamenti “indipendenti” o “autonomi” (perché promananti da
enti dotati, come il CNF, di indipendenza od autonomia), manifestazione di un potere
di autoregolamentazione o autogoverno, invocati dal CNF, ma comunque ascrivibili
alla compagine dei primi.
Invero, da un lato, si versa, come già sopra chiarito, in una materia riservata alla legge
dello Stato, ciò che fa escludere ab origine l’astratta operatività degli strumenti invocati
dalla parte resistente, in forza della prescrizione dettata dalla lett. c) del sopraccitato
art. 17, quanto ai regolamenti “liberi”, e, oltre a ciò, in forza del principio di

unitarietà
dell’ordinamento giuridico, quanto ai regolamenti “indipendenti”.
Dall’altro, ed in ogni caso, alla luce della perdurante vigenza dell’art. 91 del r.d.l. 27
novembre 1933, n. 1578, recante “Ordinamento delle professioni di avvocato e
procuratore”, convertito dalla l. 22 gennaio 1934, n. 36, che dispone che “Alle
professioni di avvocato e di procuratore non si applicano le norme che disciplinano la

qualifica di
specialista nei vari rami di esercizio professionale”, non è consentito dubitare che la via
regolamentare è assolutamente inidonea ad incidere autonomamente su tale
preclusione, posta da fonte di rango normativo primario.
E, quanto a quest’ultimo profilo, non è privo di significato che le difese resistenti
neanche tentino di illustrare la compatibilità delle norme regolamentari di cui si
discute con l’art. 91 del r.d.l. n. 1578 del 1933.
Infine, merita comunque di essere segnalato che neanche è condivisibile
l’argomentazione relativa alla rilevanza meramente interna delle norme regolamentari
impugnate, spesa dalle parti resistenti in uno alle considerazioni relative alla potestà di
autonoma regolamentazione: essa, infatti, per quanto sin qui esposto, si risolve in una
mera asserzione teorica, ovvero priva di qualsiasi riscontro nell’impianto dispositivo
oggetto di giudizio.
6.3. Le parti resistenti tentano infine di aggirare l’ostacolo costituito dalla carenza di
una norma che attribuisca specificamente in capo al CNF la regolazione della materia
de qua invocando recenti statuizioni di questo Tribunale (per tutte, Tar Lazio, IIIquater,
17 luglio 2009, n. 7081), in forza delle quali, in tema di formazione forense, è
stata riconosciuta la sussistenza del potere di normazione interna del CNF, e ciò ai
sensi dell’art. 2 (“Disposizioni urgenti per la tutela della concorrenza nel settore dei
servizi professionali”), comma 3, del d. l. 4 luglio 2006, n. 223, convertito dalla legge 4
agosto 2006, n. 248.
Recita la invocata disposizione dell’art. 2 del d. l. 223/2006:
“1. In conformità al principio comunitario di libera concorrenza ed a quello di libertà di

circolazione
delle persone e dei servizi, nonchè al fine di assicurare agli utenti un'effettiva facoltà

di scelta
nell'esercizio dei propri diritti e di comparazione delle prestazioni offerte sul mercato,

dalla data di
entrata in vigore del presente decreto sono abrogate le disposizioni legislative e

regolamentari che
prevedono con riferimento alle attività libero professionali e intellettuali:
a) l'obbligatorietà di tariffe fisse o minime ovvero il divieto di pattuire compensi

parametrati al
raggiungimento degli obiettivi perseguiti;
b) il divieto, anche parziale, di svolgere pubblicità informativa circa i titoli e le

specializzazioni
professionali, le caratteristiche del servizio offerto, nonchè il prezzo e i costi

complessivi delle
prestazioni secondo criteri di trasparenza e veridicità del messaggio il cui rispetto è

verificato
dall'ordine;
c) il divieto di fornire all'utenza servizi professionali di tipo interdisciplinare da parte

di società di
persone o associazioni tra professionisti, fermo restando che l'oggetto sociale relativo

all'attività libero-
professionale deve essere esclusivo, che il medesimo professionista non può partecipare a

più di una
società e che la specifica prestazione deve essere resa da uno o più soci professionisti

previamente
indicati, sotto la propria personale responsabilità…..
3. Le disposizioni deontologiche e pattizie e i codici di autodisciplina che contengono le

prescrizioni di
cui al comma 1 sono adeguate, anche con l'adozione di misure a garanzia della qualità delle
prestazioni professionali, entro il 1° gennaio 2007. In caso di mancato adeguamento, a

decorrere
dalla medesima data le norme in contrasto con quanto previsto dal comma 1 sono in ogni caso

nulle”.
Alla luce della norma, però, neanche tale argomentazione risulta conducente.
Infatti:
- l’avvenuta abrogazione, da parte del riportato art. 2, comma 1, delle disposizioni
legislative e regolamentari che prevedono, in riferimento a tutte le attività libero
professionali ed intellettuali, il divieto anche parziale di svolgere pubblicità
informativa circa i titoli e le specializzazioni professionali, nulla dice in ordine alla
necessarietà o all’opportunità dell’introduzione in uno di tali settori dell’istituto delle
specializzazioni, espressamente vietate dal relativo ordinamento a mezzo di una
previsione di perdurante vigenza alla data della norma, costituita dall’art. 91 del r.d.l.
n. 1578 del 1933;
- nell’art. 2 del d.l. 223/2006 non vi è traccia né esplicita né implicita di una volontà o
di un ratio abrogatrice del suddetto art. 91;
- la valorizzazione delle disposizioni deontologiche e pattizie e dei codici di
autodisciplina emergente dal comma 3 dell’art. 2 in parola è chiaramente una misura
adeguatrice, o di accompagnamento, con effetti interni allo stesso ambito regolatorio
interno, di quanto già direttamente disposto dal comma 1 della norma primaria, in
applicazione di un principio di tendenziale rispetto della eterogeneità e della
separatezza delle fonti;
- il meccanismo contemplato al comma 3 del ridetto art. 2, con l’apposizione di un
termine perentorio all’attività adeguatrice deontologica o pattizia o dei codici di
autoregolamentazione, scaduto il quale subentra la previsione della nullità ope legis
delle norme deontologiche o pattizie o codicistiche in contrasto con il comma 1 dello
stesso articolo, sottolinea, piuttosto che annullare, la primazia nella materia della legge
statale sulla fonte pattizia;
- la comminatoria della nullità ope legis di cui al ripetuto comma 3 è testualmente
riferita alle sole previsioni deontologiche, pattizie e codicistiche in contrasto con il
comma 1 dello stesso articolo, e non può certamente essere estesa alla norma di fonte
primaria di cui all’art. 91 del r.d.l. n. 1578 del 1933;
- alla già detta valorizzazione della sede pattizia e deontologica operata dal comma 3
viene senz’altro riconnessa, oltre che una pars destruens, una pars costruens, ma alla

stessa
non può ascriversi una portata generale od illimitata, ovvero travalicante il mero
ordinamento a valenza meramente interna, attesa la carenza di qualsiasi indicazione
del legislatore che legittimi le sedi deontologiche e pattizie al compimento di scelte di
portata riformatrice della struttura portante delle considerate professioni, in
sostituzione del legislatore stesso;
- in particolare, il richiamo operato dal ridetto comma 3 alla “qualità delle prestazioni
professionali”, riferito, com’è, al (normativamente) variegato ambito delle attività libero
professionali ed intellettuali contemplato dall’art. 2 che lo contiene, non risulta
suscettibile, sotto il profilo ermeneutico, di una considerazione che lo renda talmente
avulso dal complessivo contesto nel quale il rimando si pone, da farlo involvere,
prima, in una manifestazione di volontà del legislatore statale di recedere dalla
regolazione di tutte le attività professionali, ed in particolare dell’attività forense,

quasi
alla stregua di una loro “liberalizzazione”, poi, segnatamente, in una delega in bianco
al CNF: entrambe tali conclusioni, che le difese resistenti sembrano propugnare, si
profilano infatti abnormi rispetto sia al dato testuale che allo spirito della considerata
disposizione dell’art. 2.
Infine, è appena il caso di osservare che l’art. 91 del r.d.l. n. 1578 del 1933 è rimasto
del tutto estraneo alla congerie normativa considerata dalle sentenze amministrative di
primo grado come appena sopra invocate da parte resistente. La circostanza,
unitamente alla valenza meramente interna della regolazione della materia della
formazione ivi considerata, fa escludere la sussistenza di qualsiasi profilo di
sovrapponibilità, anche in relazione all’esito, delle relative controversie rispetto alla
questione all’odierno esame.
6. Per tutto quanto precede, in accoglimento del primo motivo di doglianza, il ricorso
deve essere accolto.
Per l’effetto, accertata la assoluta carenza di attribuzione in capo al CNF della
regolamentazione assunta con il gravato provvedimento, lo stesso deve essere
dichiarato nullo ai sensi dell'art. 21- septies, l. 7 agosto 1990, n. 241, categoria di
invalidità dell’atto amministrativo per la quale l’art. 31, comma 4 del codice della
giustizia amministrativa facoltizza il Collegio al rilievo d’ufficio.
Nella specie, comunque, la doglianza accolta, seppur senza trovare precisa
corrispondenza nelle conclusioni rassegnate in ricorso, ha lamentato la nullità dell’atto
impugnato.
La novità della questione giustifica la compensazione delle spese di lite.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima)
definitivamente pronunciando sul ricorso di cui in epigrafe, lo accoglie nei sensi di cui
in motivazione, dichiarando, per l’effetto, la nullità del regolamento impugnato di cui
in epigrafe.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 6 aprile 2011 con l'intervento dei
magistrati:
Giorgio Giovannini, Presidente
Roberto Politi, Consigliere
Anna Bottiglieri, Consigliere, Estensore
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 09/06/2011
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 (FONTE avvocati-part-time.it e giustizia-amministrativa.it)

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Attualità

Avv. giorgio battaglini 10.06.2011
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