Congresso Viterbo - Relazione Formazione Avv. Paolo Maria Chersevani



VITERBO 21 Settembre 2007


Speciale Congresso Viterbo - Relazione Formazione Avv. Paolo Maria Chersevani
 
 
VITERBO 21 Settembre 2007

Debbo preliminarmente ringraziare gli amici Andrea Pisani e Renzo Menoni, poiché i loro dotti interventi mi consentiranno di esporre in libertà il mio pensiero su di un tema a me tanto caro, quale la formazione permanente dell’avvocato.
In particolare Andrea, in un momento per me difficile, mi ha facilitato il compito, trasmettendomi il suo prezioso lavoro, dal quale ho tratto molteplici, preziosi, spunti.

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Inizio il mio intervento dicendovi che è opportuno salutare l’iniziativa del C.N.F. con favore, anche se dobbiamo far sentire la nostra voce, non solo sui contenuti del regolamento, così come approvato, ma altresì sul modo e sul metodo adottato per la sua introduzione.
Credo, infatti, che l’opera del C.N.F., certamente apprezzabile, non corrisponda integralmente agli obiettivi che lo stesso si prefiggeva e dei quali si parla ormai da molti anni.
Mi sembra un regolamento dettato dall’urgenza di porre rimedio all’intento legislativo che si prefiggeva di costringere l’Avvocatura all’accattonaggio sociale.
In previsione dell’emanazione della legge professionale, che speriamo prima o poi veda la luce, sarebbe stato opportuno, per non dire necessario, vi fosse un coordinamento, anche temporale, tra le varie fonti legislative e regolamentari che regolano la nostra professione.
Senza una legge professionale non avrebbe dovuto essere emanato luce il tanto osannato da una parte, e criticato dall’altra, decreto Bersani – Visco, provvedimento di inutile esercizio demagogico, che a mio sommesso avviso ha dato l’imput definitivo all’approvazione del regolamento, che oggi ci troviamo ad esaminare.
Dico questo perché una più attenta riflessione, soprattutto a livello legislativo, avrebbe evitato una confusione di interpretazioni che ancora oggi pervadono il futuro stesso dell’applicabilità del regolamento in esame.
E’ a tutti nota la querelle riguardante l’asserito difetto di legittimazione del CNF in mancanza di espressa previsione legislativa, con conseguente ricaduta sull’efficacia e possibilità di repressione in caso di mancato adempimento agli obblighi previsti.
Infatti, l’art. 33 della Costituzione prevede la necessità di un esame di stato per l’abilitazione all’esercizio professionale, mentre l’art. 2229 del c.c. stabilisce una riserva di legge per la determinazione delle professioni intellettuali, il cui esercizio è subordinato alle iscrizioni in albi.
Il decreto legislativo, così detto la Loggia, n. 30/2006, ribadisce e meglio definisce i requisiti tecnico professionali ed i titoli professionali necessari per l’esercizio delle attività professionali, che richiedono una specifica preparazione a garanzia di interessi pubblici generali la cui tutela compete allo Stato.
Nella diatriba che contrappone alcune Associazioni Forensi al C.N.F. nell’interpretazione delle sentenze a Sezioni Unite, n. 28225 del 6.6.2002 e 5776 del 12.2.2004, le quali, per strade diverse, stabiliscono che le norme del codice deontologico approvato dal C.N.F., come norme giuridiche vincolanti nell’ambito dell’ordinamento di categoria possono essere scrutinate con ricorso ai sensi dell’art. 111 della Costituzione.
Va da se dunque che dette norme devono essere sottoposte ad un attento principio di costituzionalità.
Appare evidente come l’obbligatorietà del regolamento del C.N.F. passa necessariamente attraverso l’inadempimento agli obblighi gravanti sull’avvocato previsti dal codice deontologico, il quale trova i propri limiti negli stessi criteri costituzionali ispiratori delle norme poste a tutela della cittadinanza.
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Abbiamo detto dunque dell’ennesimo sfaldamento di un sistema giustizia nel quale ci dibattiamo.
Ma è proprio da qui che l’Unione Nazionale delle Camere Civili deve prendere spunto e muoversi compatta nel reclamare la posizione ed i compiti che le spettano.
Vediamo come ripercorrendo velocemente assieme il testo del regolamento nei suoi tratti essenziali.
ART.1
Il dato che balza subito evidente riguarda l’obbligatorietà prevista per gli avvocati ed i praticanti abilitati al patrocinio, di mantenere ed aggiornare la propria preparazione personale.
Il richiamo al codice deontologico art.12 e 13 è evidente.
Già il terzo comma, dell’art. 1 impone una maggiore riflessione, ove solo si consideri che fa riferimento ad un concetto strisciante di specializzazione, la cui introduzione viene rimandata ad altra data.
Tale articolo prevede, infatti, che il professionista che voglia ricorrere all’informazione prevista dall’art. 17 bis del codice deontologico forense, debba necessariamente comunicare gli ambiti in cui opera.
Detta norma va altresì integrata con il disposto dell’art. 2, comma quinto, il quale prevede che l’iscritto, che intenda fornire indicazioni di cui al precitato articolo 1, dovrà aver conseguito nel periodo di valutazione che precede l’informazione, non meno di 30 crediti formativi nell’ambito di esercizio dell’attività professionale che intende indicare.
Completa poi tale formulazione, peraltro confusa, l’art. 11, comma quarto, che prevede che l’art. 1, comma terzo del regolamento, si applichi dal I settembre 2008.
A ben vedere non si tratta che di una anticipazione del concetto di specializzazione che dovrebbe invece trovare una sua autonoma, o quantomeno diversa, successiva regolamentazione.
Se è vero che l’impianto di tutto il regolamento trae spunto dalla necessità di un adeguamento del codice deontologico a norme imperative, speriamo che, volutamente, il Consiglio Nazionale Forense abbia anticipato l’introduzione di tale pre specializzazione, che sola può consentire una pubblicità coerente con gli scopi stessi della norma, diretta a tutelare il singolo e la collettività da false ed ingannevoli indicazioni di specialità, mai raggiunte.
Il quarto comma dell’art. 1 identifica poi la formazione professionale continua, suddividendola in accrescimento e approfondimento da una parte, ed aggiornamento dall’altra.
La differenza è di non poco conto poiché se accrescimento ed approfondimento sottendono l’esame e lo studio di norme “stabilizzate” e sulle quali se non si è già creato un orientamento giurisprudenziale, quanto meno è trascorso un considerevole lasso di tempo dalla loro entrata in vigore, con il termine aggiornamento si identificano quelle quotidiane e diuturne attività di difesa dal bombardamento, di un legislatore schizofrenico, che fa e disfa come Penelope, provvedenti legislativi a seconda dell’orientamento politico che di volta in volta lo colora.
Gli esempi in tema di procedura civile sono evidenti e siamo sinceramente stufi di correr dietro a fantasie legislative di facciata dettate più da spirito demagogico, che dal reale interesse che la classe politica, di qualsivoglia colore ed appartenenza, ha nel far avere giustizia al cittadino, quantomeno in tempi certi.
ART.2
Superato questo piccolo sfogo, passo all’art. 2 e tralasciando gli aspetti squisitamente contabili, rilevo come la norma in oggetto è di particolare interesse ai suoi commi quarto e quinto.
Per quanto concerne il comma quarto viene indicata una attività di scelta, con la preclusione però dei quindici crediti formativi aventi ad oggetto l’ordinamento professionale e previdenziale e la deontologia.
Saluto con molto favore tale disposizione, anche perché molti di noi, io per primo, ben poco conoscono, e questo forse anche e non solo per colpa nostra gli aspetti ordinamentali e previdenziali della nostra professione.
Il recente attacco estivo alle nostre casse ne è un esempio .
Sulla deontologia mi taccio.
Per quanto concerne il comma quinto come detto lo stesso va al pari col comma terzo dell’art. 1, con il quale si combina in quella prospettiva che sola può consentire all’avvocato di spendere accanto al suo nome una specializzazione non si sa quanto effettiva.
ART.3
Il suo comma primo evidenzia una palese discrasia con quanto poi affermato all’art. 6 comma primo.
Da una parte ci viene detto che gli obblighi di formazione professionale vengono assolti con la partecipazione effettiva ed adeguatamente documentata a determinati eventi, nell’altro articolo invece ci viene detto essere sufficiente la semplice autocertificazione.
Mi chiedo il perché della sufficienza di un’autocertificazione in presenza della necessità della presentazione di documentazione di attestazione.
Forse il C.N.F. voleva fidarsi degli avvocati, ma non ha avuto il coraggio di farlo fino in fondo.
Lascio ad ognuno di Voi trarre le conclusioni.
Prosegue poi l’art. 3, indicando gli eventi formativi integrativi l’assolvimento dell’obbligo.
E qui mi chiedo come sia possibile il controllo alla partecipazione di un seminario eseguito con modalità telematiche, se non con le modalità seguite recentemente in alcuni Fori, facendo ricorso alla video conferenza con ogni camera territoriale, ove esistente.
Per portare il nostro esempio abbiamo utilizzato, e con non poche difficoltà, tale mezzo, con la partecipazione delle singole Camere territoriali presenti nelle sezioni distaccate del Tribunale, le quali che hanno curato i relativi adempimenti e l’organizzazione.
Mi è tuttavia difficile immaginare un esteso ricorso a tale mezzo.
Per quanto riguarda invece la lettera B, credo ci sarà sicuramente una “corsa alla commissione” da parte di più di qualcuno.
Sugli altri eventi specificatamente indicati non ci rimane che interpretarla come una norma di apertura alla discrezionalità del C.N.F. e dei Consigli dell’Ordine.
Il comma tre è la nostra spina nel fianco.
Detto comma prevede che gli eventi di cui alle lettere A e B siano promossi ed organizzati dal Consiglio Nazionale Forense, o dai singoli Consigli dell’Ordine territoriale o se organizzati da Associazioni Forensi, altri enti od istituzioni pubbliche o private, sempre che siano stati preventivamente accreditati anche sulla base di programmi sulla base di durata semestrale od annuale, dal Consiglio Nazionale Forense o dai singoli Consigli dell’Ordine Territoriali a seconda della rispettiva competenza.
Qui il regolamento brilla per averci parificato a fantomatici altri enti istituzioni od organismi pubblici o privati, che però siano stati preventivamente accreditati.
Come e perché non ci è dato sapere, né a quali enti e soprattutto a quali organismi privati il C.N.F faccia riferimento.
Era certo auspicabile una maggior attenzione del CNF alle Associazioni Forensi maggiormente rappresentative, tra le quali la nostra.
Da una norma così mal formulata, non può che discendere un assalto speculativo all’accreditamento dei più disparati programmi, o meglio eventi, che non vedo come il Consiglio Nazionale forense e i Consigli dell’Ordine possano arginare.
L’aver concesso alle Associazioni Forensi maggiormente rappresentative la possibilità di accreditamento, avrebbe significato sicuramente un atto di fiducia nei loro confronti, anche se di minimo spoglio delle prerogative del C.N.F. e dei Consigli dell’Ordine territoriali.
Credo che come Unione Nazionale dovremo continuare a batterci, se non per la possibilità di accreditare, quanto meno per creare un sistema che non consenta speculazioni di carattere economico alle nostre spalle e non ci si perda in migliaia di eventi accreditati dai Consigli dell’Ordine Territoriali, con la conseguenza di un affastellarsi e sovrapporsi di iniziative.
Per quanto riguarda le competenze: al C.N.F. spetta accreditare gli eventi da svolgersi all’estero e quelli che prevedono identici programmi in più circondari o distretti, mentre ai Consigli dell’Ordine Territoriali compete l’accreditamento in ragione del luogo di svolgimento.
Tralascio le modalità di presentazione, evidenziando tuttavia la pericolosità del silenzio assenso, dovuta alla possibilità che i richiedenti siano organismi privati, non meglio identificati.
Venendo a noi, credo che la formula migliore, per quanto riguardi la nostra Unione, sia quella di fare da collettore, nella già creata commissione sulla formazione, dei vari interventi che ogni singola Camera Civile intende svolgere, fornendole tutto il supporto necessario, purtroppo non di mezzi, ma di uomini di buona volontà, per il miglior successo dell’iniziativa.
Mi è noto, poiché da alcuni riferitomi, che in casi particolari non vi è da parte del Consiglio dell’Ordine di appartenenza molta attenzione alla Camera Civile del luogo. Anzi in alcuni casi mi è stata prospettata una evidente conflittualità.
In tali casi l’Unione delle Camere Civili potrà farsi portavoce delle istanze della singola Camera Civile utilizzando tutti gli strumenti in suo potere, non ultimo quello della presentazione dell’iniziativa a suo nome, anche direttamente al C.N.F. a condizione che questa sia “esportabile”.
Mi vado da tempo battendo affinché la nostra Unione si doti di un’organizzazione che le consenta di affrontare con serenità le sfide che si prospettano, così come del necessario organo di stampa.
Purtroppo le nostre casse, e non solo, rendono sempre più lontano l’avverramento di questa mia speranza, che però tale non deve rimanere.
Lo stesso comma prosegue dandoci un contentino, sempre che la nostra Associazione sia riconosciuta come maggiormente rappresentativa sul piano nazionale dal Congresso Nazionale Forense, consentendoci di partecipare alla creazione di specifici protocolli, applicabili anche in sede locale.
Voglio sottolineare il termine protocolli, poiché è per merito dell’iniziativa dell’Avvocatura ed in particolare delle Camere Civili, che sino ad oggi la macchina della giustizia civile è andata avanti.
Abbiamo partecipato con fervore e preparazione, alla stesura di prassi virtuose che hanno consentito a magistrati ed avvocati, non solo di confrontarsi, ma altresì di dare un indirizzo comune alle immancabili, quanto innumerevoli, carenze dei dettati legislativi.
Su tale norma credo sia necessario intervenire con doveroso approfondimento e chiarimento, che non potrà prescindere dal riconoscimento della nostra Unione all’effettiva partecipazione al processo formativo dell’avvocato.
Mi sono premurato di andare a vedere il sito del C.N.F..
Vi è una sezione dedicata alla commissione per l’accesso alla professione ed alla formazione professionale la quale deve: a) curare i rapporti con l’università e gli organi politici governativi e parlamentari per la revisione dei corsi universitari e per l’istituzione di corsi post universitari e di specializzazione;
b) promuovere e curare i rapporti con i consigli dell’Ordine periferici per la soluzione dei problemi relativi all’accesso alla professione e alla formazione professionale;
c) realizzare studi e programmi concernenti le scuole forensi e gli esami di riabilitazione all’esercizio professionale.
In tale commissione non si fa alcun cenno alle Associazioni Forensi, che credo debbano invece intervenire, anche se con parere consultivo, nel procedimento di accreditamento, in particolare per quanto concerne i programmi intineranti, la nostra presenza nella commissione del C.N.F., possa essere certo auspicabile così come nelle commissioni che verranno istituite presso ogni Consiglio dell’Ordine.
Ritorneremo sul punto all’esame dell’art. 7 .
ART. 4
Indica quali sono le attività formative.
Molto vi sarebbe da dire ma il tempo non me lo consente.
Rilevo solo anche qui una non compresa e non specificata autonomia del C.N.F. e dei Consigli dell’Ordine, nell’autorizzare e riconoscere attività svolte autonomamente nell’ambito della singola organizzazione professionale dell’avvocato.
Sarei grato agli estensori, anche a titolo esemplificativo, dirmi in cosa tali attività autonome consistano, anche perché si potrebbe spaziare nelle più fantasiose prospettazioni.
ART 5
L’art. 5 indica i fortunati che possono infischiarsene degli obblighi formativi.
Da alcuni si sono sollevati rilievi sull’esonero dei docenti universitari e dei ricercatori con incarichi di insegnamento.
Pur con i necessari distinguo credo che la limitazione nella materia di insegnamento possa far propendere per la correttezza di tale impostazione, così peraltro come quelle dovute ad impedimento.
Altro aspetto che ha sollevato dubbi, in particolar modo per quanto concerne il regolamento dei commercialisti, è il requisito dell’età, che per i commercialisti è previsto in quella anagrafica di 65 anni, mentre per noi viene stabilito nel superamento dei 40 anni di iscrizione.
Premesso che non so quanti avvocati abbiano voglia di resistere 40 anni in attività, tale norma da alcuni è stata censurata come anticostituzionale.
Sul punto non voglio dilungarmi, anche se ritengo che non vi è alcun dato temporale che possa tranquillamente legittimare una tale scelta, visto l’alluvione dei provvedimenti legislativi, che allagano sempre più spesso ogni campo del diritto.
ART. 6
Il comma 1, come già abbiamo anticipato, impone all’avvocato iscritto di depositare al Consiglio dell’Ordine una sintetica relazione, indicando gli eventi formativi seguiti nell’anno precedente, anche a mezzo autocertificazione.
Sul punto abbiamo già detto e non ci rimane che sperare.
Per quanto concerne l’inosservanza dell’obbligo formativo, abbiamo già rilevato come il regolamento tragga la sua fonte di ispirazione dal codice deontologico che ne costituisce altresì l’unica possibilità sanzionatoria, commisurata peraltro alla gravità della relazione.
Al di là, o meno, dei poteri del C.N.F. quale ente pubblico non economico di dettare norme cogenti e di emettere provvedimenti sanzionatori, osservo che sarà ben difficile non foss’altro visto il numero degli avvocati in Italia, che i Consigli dell’Ordine, così come oggi strutturati, possano svolgere un efficace compito di verifica.
ART. 8
Passo per saltum all’art. 8 in tema di controllo dei Consigli dell’Ordine in quanto direttamente connesso con l’art. 6.
La parte di interesse riguarda in particolare il quarto comma che prevede la possibilità del Consiglio dell’Ordine di avvalersi di apposita commissione costituita anche di soggetti esterni ai Consigli.
Sembrerebbe dunque una apertura alle associazioni.
Tale porta però viene immediatamente chiusa quando si afferma che il parere espresso dalla commissione, è pur si obbligatorio, ma può essere disatteso dal Consiglio con deliberazione motivata.
Forse non possiamo pretendere di più.
Tuttavia una tale discrezionalità, soprattutto laddove il Consiglio dell’Ordine puo’ e non deve avvalersi di apposita commissione, lascia innegabili spazi di autonomia.
ART .7
Particolare attenzione dobbiamo porre al contenuto dell’art. 7.
Pur tralasciando altri aspetti seppur importanti, osservo che al comma terzo, appaiono finalmente nominate le Associazioni Forensi, tutte indiscriminatamente senza la dizione “maggiormente rappresentative”, affiancate come d’uso da fantomatici enti che non abbiano fini di lucro.
Al di là del necessario chiarimento, rileva poi che i Consigli dell’Ordine possano avvalersi di appositi enti da essi costituiti, partecipati, o comunque controllati.
Personalmente saluto con favore tale possibilità, anche da noi esiste la Fondazione Benvenuti presieduta dall’avv.to Marco Cappelletto, che ben tutti voi conoscete e della quale fa parte Manola Faggiotto ed altro collega del direttivo della Camera Civile Veneziana.
Saranno però da verificare, di volta in volta e con molta attenzione, non solo le modalità ma altresì gli intenti di tali enti, che possono costituire per le singole Camere un’importante sbocco su quello che ormai mi sia consentito chiamare il mercato della formazione.
Inoltre è data facoltà ai Consigli di organizzare attività formative con Enti operanti con finalità diverse. Da alcuni e qui ringrazio la collega Di Ingianna, ci è stata prospetta la possibilità che questi eventi abbiano carattere di totale gratuità.
La collega ben conosce i problemi economici che affliggono la gran parte delle associazioni di carattere volontaristico quale la nostra è e deve necessariamente rimanere.
Pertanto credo che un piccolo contributo nelle spese di organizzazione debba necessariamente gravare anche sui partecipanti alle iniziative soprattutto per quelle che riguarderanno la specializzazione con conseguente possibilità di far ricorso all’informazione di cui all’art. 17 bis del codice deontologico.
Avviandomi alla fine della nostra veloce e non esaustiva disamina, rilevo che l’art. 9 alla sua lettera B così recita : Il Consiglio Nazionale Forense valuta le relazioni trasmesse ai consigli dell’Ordine a norma del precedente art. 7 anche costituendo apposite commissioni per la partecipazione di soggetti esterni al C.N.F.
Speriamo di essere ricompresi nella dizione soggetti esterni, che mi sembra sinceramente poco felice.
Tralascio gli art. 10 e 11 perché poco vi è da commentare se non per la parte dell’art. 10, nella quale il C.N.F. si riserva di emanare norme di attuazione e di coordinamento per le quali gli saremmo grati di interpellarci.

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Non potendo discostarmi dal pragmatismo del quale oggi la nostra l’UNCC necessita per giungere ad un minimo organizzativo che le consenta, non solo di operare, ma di farsi parte attiva nei processi di modernizzazione dell’Avvocatura, credo c dobbiamo procedere come detto nell’invitare le singole Camere Civili a far pervenire all’idonea commissione il programma che intende sottoporre al Consiglio dell’Ordine competente, rammostrando le eventuali problematiche eventualmente esistenti nella singola realtà territoriale.
Dovrà poi l’unione sottoporre al C.N.F. le iniziative intineranti, che per noi rivestono particolare importanza prevedendo la possibilità di ripetizioni di identici programmi in più circondari, o distretti.
Al di là del fatto che gli obblighi di formazione ci vengano imposti o meno, il nostro compito è di guardare avanti e dare, nei limiti della disponibilità il nostro contributo, anche se modesto, alla scienza giuridica.
Avrei pertanto individuato due temi di rilevanza, non solo giuridica, ma altresì sociale che potrebbero essere portati alla attenzione di tutti.
Vorrei infatti prospettare a livello nazionale delle problematiche che investano la funzione sociale, dell’Avvocato da troppi dimenticata, anche se riconosciuta dalla Carta Costituzionale.
Avremmo individuato dunque il primo tema nell’ambiente e nel danno ambientale; il secondo nella la responsabilità medica e della “struttura sanitaria” con particolare riguardo ai danni da trasfusione.
Queste sono solo delle proposte che vi invito a voler valutare.
Tenete però presente che il termine del 31 ottobre è dietro l’angolo e non possiamo trincerarci dietro un inutile silenzio o censure, anche se opportune, al dettato regolamentare.

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Per il vero, fino ad ora il Consiglio Nazionale Forense, se non per nostra insistenza, non ci ha degnato di uno sguardo, ma è bene che cominci a guardarci con la dovuta considerazione.
Si apre, infatti, un momento molto delicato per la nostra professione, nel quale l’Unione della Camere Civili, deve rivestire il ruolo che le compete, tralasciando inutili, quanto sterili, affermazioni personalistiche e autoreferenziali.
La sfida è dunque lanciata ed è per questo che saluto con piacere la possibilità per noi di tornare ad avere quel ruolo di proposizione culturale, che è il fondamento della nostra Associazione, senza tralasciare la politica forense dal quale non può prescindere.
Si aprirà, o meglio si è già aperta, la corsa al business della formazione.
Noi non dobbiamo far denari ma dobbiamo però evitare che altri li facciano a nostre spese.
Il regolamento in oggetto ci da dunque la possibilità di farci ascoltare sul territorio nazionale, con l’attenzione che meritiamo, anche se per il vero alcuni di noi non sembrano accorgersi degli sforzi che ogni Camera Civile fa, non solo per sopravvivere, ma per consentire agli iscritti, e non, di avere un confronto chiaro ed aperto sulle novità legislative, giurisprudenziali e sulla nostra stessa professione.
A quanti di noi è capitato di organizzare dei convegni di alto respiro, investendo tempo e denaro di tasca propria, per poi vedere in sala solo professionisti di altra categoria.
Il regolamento del Consiglio Nazionale Forense dunque, pur con tutti i suoi limiti ha suonato l’ultima campana per chi ancora non ha capito che la nostra professione sta cambiando e altrimenti non poteva essere, visto l’evolversi dei tempi.
Ad un collega che mi chiedeva cosa sarebbe successo nel caso se ne fosse infischiato della formazione continua la mia risposta è stata oltremodo sintetica.
A quel collega ho detto che sarebbe inevitabilmente stato espulso da quel ciclo virtuoso, che unico potrà portare la nostra categoria professionale a superare un momento di così grave incertezza, con conseguente fuoriuscita da un mercato, perché purtroppo di mercato si tratta, di una professione che per me resta sempre la più bella.
Sta a noi alzare le vele e scegliere la rotta giusta

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Avvbattaglini 31.09.2007
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