CONTRATTI CON FINANZIARIA - FORMA SCRITTA - NULLITA'



Tribunale di Venezia - sentenza 16 febbraio 2006


Tribunale di Venezia - sentenza 16 febbraio 2006

(Omissis)

 

FATTO E DIRITTO

 

Va premesso che la presente sentenza viene redatta in forma abbreviata a norma dell’art. 16 comma 5° D.L.vo 17.1.2003 n. 5, con la conseguenza che per la parte narrativa deve richiamarsi quanto dedotto dalle parti nei rispettivi atti difensivi.

 

La parte attrice assume che l’istituto di credito si è reso responsabile della grave violazione della normativa speciale in materia di intermediazione finanziaria, e, in particolare, dell’art. 23 del dlgs. 58/1998 (T.U.F.) nonché degli artt. 28 e ss. del regolamento Consob 11522/98.

 

Ha chiesto pertanto – limitandosi sotto il profilo istruttorio a formulare istanza di esibizione del prospetto informativo dei titoli – accertarsi l’inesistenza e/o nullità e/o annullabilità degli ordini d’acquisto di obbligazioni “Argentina 11% 96/06 USD” effettuati rispettivamente in data 20.6.2000, per un valore nominale di $ 42.000,00, ed in data 3.11.2000, per un valore nominale di $ 2.000,00, per un importo complessivo quindi di $ 44.000,00 e per l’effetto la condanna della banca convenuta alla restituzione della somma di predetta somma, oltre interessi e rivalutazione monetaria, o in via subordinata, al risarcimento del danno stimato nella stessa somma.

 

La banca convenuta – la quale non ha formulato istanze istruttorie – ha chiesto il rigetto della domanda attorea e in via riconvenzionale, in ipotesi di accoglimento totale o parziale della domanda attorea, la condanna degli attori a restituire alla Cassa il controvalore delle cedole incassate, oltre alla restituzione dei titoli medesimi o del loro controvalore.

 

Devono essere accolte sia la domanda principale dell’attrice che quella riconvenzionale della banca convenuta.

 

Va preliminarmente osservato che l’art. 23 T.U.F. prescrive l’obbligo della forma scritta a pena di nullità solo per i contratti che disciplinano la prestazione dei servizi di investimento, intendendosi per tali non i singoli contratti di acquisto di titoli, ma i contratti che stabiliscono come gli ordini devono essere impartiti nelle svariate ipotesi, come ad esempio quando hanno ad oggetto valori mobiliari quotati che vengono negoziati fuori da mercati regolamentati, o ordini riguardanti valori mobiliari non quotati negoziati in mercati regolamentati, ovvero ordini impartiti in situazioni di conflitto di interesse della banca, vendite allo scoperto etc.

 

In particolare, ai sensi dell’art. 1 comma 5° T.U.F., il servizio di investimento coincide con un’attività svolta dalla banca, che può consistere nella negoziazione per conto proprio (lett. f ), negoziazione per conto terzi (lett. g), nella gestione su base individuale di portafogli in investimento (lett. i), così come consistere, come nel caso di specie, in un’attività di ricezione e trasmissione di ordini (lett. j).

 

Appare evidente che sulla base di un tal concetto di servizio di investimento l’art. 23 non ha in alcun modo identificato i servizi di investimento con i singoli ordini d’acquisto, proprio perché, come sopra detto, per servizio di investimento di cui alla lett. j deve intendersi l’attività di ricezione e trasmissione degli ordini e non l’ordine in sè.

 

In conclusione, per contratti relativi alla prestazione dei servizi di investimento, si intendono i contratti che disciplinano, tra le altre, “l’attività “ di ricezione e trasmissione degli ordini da parte delle banche, ovvero i c.d. contratti quadro.

 

Coerente con questa ricostruzione è il disposto dell’art. 30 del regolamento Consob n. 11522/98, di attuazione del decreto legislativo 24.2.1998 n. 58, che contiene la disciplina dei c.d. contratti- quadro e prescrive al comma 2° lett. c) che tali contratti, che devono necessariamente rivestire la forma scritta, devono indicare le modalità attraverso cui l’investitore può impartire ordini ed istruzioni.

 

Anche l’art. 60 del predetto regolamento prevede espressamente la possibilità di impartire gli ordini telefonicamente.

 

Dunque, il regolamento di attuazione del Dlgs. n. 58/98, atto normativo cui è stata espressamente demandata dal legislatore l’attuazione e disciplina dei principi generali posti dal T.U.F., ha, in conformità a quanto stabilito dall’art. 23 T.U.F., prescritto la forma scritta esclusivamente per i contratti-quadro ed ha stabilito che sono gli stessi contratti a dover indicare le modalità attraverso cui l’investitore può impartire ordini ed istruzioni.

 

Orbene, nel caso di specie, il contratto che contiene le “norme relative alla negoziazione, alla sottoscrizione, al collocamento ed alla raccolta degli ordini concernenti valori mobiliari” stipulato dall’attrice con la banca convenuta (doc. 2 fascicolo convenuta) contempla all’art. 1 che l’ordine possa essere conferito non solo per iscritto ma anche telefonicamente.

 

La stessa clausola prevede che in quest’ultimo caso ne fa piena prova la relativa annotazione sui registri della banca, ma, una tale prova può comunque essere fornita anche a mezzo di testimoni.

 

Ne consegue che non può accogliersi la prospettazione dell’attrice di nullità degli ordini per violazione dell’art. 23 T.U.F..

 

Va peraltro osservato che, indipendentemente dalle modalità di conferimento degli ordini di acquisto pattuite nel contratto relativo ai servizi di investimento, in ogni caso, in talune ipotesi espressamente previste dal regolamento Consob, l’ordine, sia scritto che telefonico, deve rivestire una particolare forma, come nella situazione contemplata dall’art. 29 regolamento consob, caratterizzata dalla ricezione da parte dell’intermediario autorizzato di una disposizione relativa ad un’operazione non adeguata (per tipologia, oggetto, frequenza o dimensione) al profilo di rischio dell’investitore.

 

In una tale eventualità, la normativa speciale non si accontenta di porre a carico dell’intermediario un mero obbligo di informazione del risparmiatore – ovvero dell’esistenza dell’inadeguatezza dell’operazione e delle ragioni per le quali non è opportuno procedere all’esecuzione della stessa – ma prescrive che se l’investitore intende comunque dare corso all’ordine, l’intermediario può eseguire l’operazione solo sulla base di un ordine impartito per iscritto ovvero, nel caso di ordine telefonico, registrato su nastro magnetico o su altro supporto equivalente, in cui sia fatto esplicito riferimento alle avvertenze ricevute.

 

Ad avviso di questo Collegio, l’art. 29 reg. consob, ha stabilito una semplice regola di comportamento/responsabilità nel porre a carico dell’intermediario l’obbligo di informare l’investitore dell’inadeguatezza dell’operazione e delle ragioni che ne sconsigliano l’attuazione, ma ha introdotto una vera e propria regola di validità del contratto d’acquisto dello strumento finanziario, un elemento costitutivo del medesimo, nel prescrivere che, qualora l’investitore intenda comunque dar corso all’ordine, questo debba rivestire la forma scritta (o, in caso di ordine telefonico, la registrazione di quest’ultimo su nastro magnetico o su altro supporto equivalente) in cui sia fatto esplicito riferimento alle avvertenze ricevute.

 

Posto che la prescrizione della forma quale elemento costitutivo di un contratto risponde normalmente ad un’esigenza di responsabilizzazione del consenso, di mettere in guardia colui che compie un atto di particolare importanza in ordine alle conseguenze dello stesso, che esigono, proprio per questo, una maggiore ponderazione – non a caso è prevista la forma scritta per gli atti di trasferimento di diritti reali immobiliari - e’ indubitabile che, nella stessa prospettiva, l’art. 29, nel caso di operazione non adeguata, abbia voluto, con particolare rigore, imporre una particolare forma in relazione all’esigenza di maggior tutela del risparmiatore.

 

In particolare, se costui intende effettuare un acquisto che si pone in controtendenza rispetto alle pregresse scelte di investimento, soprattutto se di entità tale da rappresentare una buona fetta del suo capitale, non è sufficiente che - prima dell’ordine - lo stesso venga dissuaso dall’intermediario dal portare avanti una tale operazione, ma deve comunque essere messo in condizione di valutare - all’atto dell’ordine - in maniera ancor più ponderata il grave rischio cui si espone, e ciò può avvenire soltanto attraverso l’imposizione della forma scritta dell’ordine - o della registrazione su nastro magnetico o su altro supporto in caso di ordine telefonico - nel contesto del quale è necessario che sia fatto esplicito riferimento alle avvertenze fornite dall’intermediario.

 

Come già osservato da questo Tribunale in precedenti analoghi, si tratta di un requisito di forma che risponde ad un’esigenza di sostanza di protezione dell’investitore nel compimento di un’operazione assai delicata e potenzialmente dannosa per lo stesso, analogamente a quanto avviene in altre situazioni in cui l’ordinamento ha ritenuto che il rispetto di determinate forme, in relazione ai particolari effetti da ricollegarsi ad un determinato atto, costituisca l’unica garanzia dell’effettiva ponderazione della scelta negoziale (es. la forma dell’atto pubblico, a norma dell’art. 782 cod. civ., nella donazione è richiesta in relazione alla gratuità dell’atto).

 

La violazione della prescrizione di forma richiesta dall’art. 29 regolamento consob dà luogo alla nullità del singolo ordine d’acquisto.

 

A tal proposito, deve premettersi che il T.U.F. ed il suo regolamento attuativo, che costituisce con il primo un corpus unicum da valutarsi unitariamente, in considerazione degli interessi pubblicistici, anche di rango costituzionale (art. 47 Cost) che mirano a realizzare, ed identificabili non solo nella tutela dei risparmiatori uti singoli ma anche in generale del risparmio come elemento di valore dell’economia nazionale, sono norme imperative a norma dell’art. 1418 comma 1° cod. civ. (tale formula è stata già utilizzata dalla giurisprudenza della Suprema Corte nella sentenza del 7.3.2001 n. 3272 con riferimento alle disposizioni della legge 2.1.1991 n.1 sull’intermediazione mobiliare).

 

Ne consegue che laddove tali norme prescrivano requisiti di validità della fattispecie negoziale, in quanto attinenti alla struttura o al contenuto del contratto – come appunto l’art. 29 reg. consob - la loro violazione dà luogo alla nullità del contratto.

 

Peraltro, non occorre che sia espressamente prevista la sanzione di nullità ai fini della nullità dell’atto negoziale compiuto in violazione di tali norme, in quanto vi sopperisce l’art. 1418 1° comma cod. civ. che rappresenta un principio generale rivolto a prevedere e disciplinare proprio quei casi in cui alla violazione di precetti imperativi non si accompagna una previsione di nullità.

 

Tale ricostruzione è coerente anche con quanto sostenuto dalla recente sentenza della Suprema Corte Corte 31 marzo/29 settembre 2005. Pres. Losavio, rel. Marziale – citata dalla banca convenuta – secondo la quale “la contrarietà a norme imperative, considerata dall’art. 1418, primo comma, c.c. quale “causa di nullità” del contratto, postula, infatti, che essa attenga ad elementi “intrinseci” della fattispecie negoziale, che riguardino, cioè, la struttura o il contenuto del contratto (art. 1418, secondo comma c.c.)”.

 

Individuate le conseguenze giuridiche derivanti dalla violazione dell’art. 29 reg. consob, occorre ora accertare, se, nel caso di specie, l’operazione di investimento posta in essere dagli attori fosse adeguata alla stregua dei parametri richiesti da tale norma e se la banca abbia osservato i requisiti formali nella ricezione e trasmissione degli ordini prescritti dalla medesima.

 

Orbene, ad avviso di questo Collegio, le operazioni finanziarie poste in essere dagli attori non erano adeguate al loro profilo di rischio.

 

Anche valutando la propensione al rischio dei signori A.Z. sul piano meramente fattuale sulla base delle loro pregresse scelte di investimento – avendo gli stessi omesso di fornire informazioni sui loro obiettivi di investimento e sulla loro propensione al rischio – dall’estratto conto del loro deposito titoli al 31.3.2000 (nel successivo trimestre il primo acquisto titoli è quello di cui è causa) emerge che gli attori detenevano sino ad allora obbligazioni BEI al tasso 5,5 % per il corrispondente importo di € 60.784,93 e azioni ENEL per il risibile importo (assolutamente insignificante) di € 2.323,50.

 

Tenuto conto che le obbligazioni Argentina di cui è causa riconoscevano all’investitore una cedola al tasso dell’11%, (esattamente il doppio di quelle BEI) non vi è dubbio che tali acquisti di importo complessivo di circa € 42.600,00 dessero luogo a operazioni non adeguate in relazione sia all’oggetto che alle dimensioni.

 

Tale conclusione scaturisce in modo inconfutabile dalla semplice lettura del punto 1.3 (“rischio emittente”) del documento sui rischi generali degli investimenti in strumenti finanziari, allegato n. 3 al reg. consob 11522/98, il quale contiene una descrizione delle caratteristiche generali dei singoli strumenti finanziari e dei rischi ad essi connessi e che consente all’investitore di acquisire utili informazioni sulle dinamiche che regolano il mercato dei valori mobiliari.

 

In particolare, viene indicato che “ con riferimento ai titoli di debito, il rischio che le società o gli enti finanziari emittenti non siano in grado di pagare gli interessi o di rimborsare il capitale prestato si riflette nella misura degli interessi che tali obbligazioni garantiscono all’investitore. Quanto maggiore è la rischiosità percepita dall’emittente tanto maggiore è il tasso d’interessi che l’emittente dovrà corrispondere all’investitore.

 

Per valutare la congruità del tasso d’interessi pagato da un titolo si devono tenere presenti i tassi d’interessi corrisposti dagli emittenti il cui rischio è considerato più basso, ed in particolare il rendimento offerto dai titolo di Stato, con riferimento ad emissioni a pari scadenza”.

 

L’alto grado di rischio dei bond argentini emerge quindi dall’elevatissimo tasso d’interessi riconosciuto dall’emittente (11%) ben superiore non solo al rendimento offerto dai titoli di Stato (4,75%, vedi doc. 7 fascicolo convenuta) con riferimento ad emissioni a scadenza analoga, ma anche alle obbligazioni BEI degli attori (come detto 5,5%, di poco superiore a quello dei titoli di Stato).

 

Né è condivisibile e persuasivo l’assunto secondo cui i anche i titoli dei signori A.Z. erano rischiosi, al di là del tasso offerto, per il fatto che erano obbligazioni in divisa: si trattava di un acquisto in dollari, notoriamente la moneta più forte sul mercato e per questo privilegiata nelle iniziative di investimento, come tale non particolarmente soggetta al rischio di oscillazioni negative (né è stata fornita una prova contraria relativamente al periodo di acquisto di tali titoli).

 

Certo, a ben diverse conclusioni si sarebbe addivenuti laddove si fosse trattato di obbligazioni in divisa di paesi emergenti.

 

Al fine di valutare la propensione al rischio degli attori neppure possono essere tenute in considerazione – come invece ritenuto dalla banca - le obbligazioni Philip Morris, acquistate dagli attori lo stesso giorno (20.6.2000) del primo acquisto dei titoli argentini, o le obbligazioni Parmalat acquistate in data 27.6.2000, entrambe comunque per importi inferiori, rispettivamente di circa € 28.800,00 ed € 17.900,00.

 

Si tratta di titoli di cui non è dato conoscere le caratteristiche, dei quali la banca convenuta non ha indicato neppure il tasso offerto, con la conseguenza che non è possibile valutare neppure sommariamente la rischiosità dell’investimento.

 

In particolare, con riferimento alle obbligazioni Parmalat, si tratta di titoli verosimilmente non travolti dal default – diversamente, non vi è dubbio che la domanda sarebbe stata estesa anche questi – acquistati ben tre anni e sei mesi prima dello scoppio della crisi della società emiliana quando le prospettive di solidità del gruppo di Correggio erano ben diverse.

 

Non possono essere considerate nella valutazione di adeguatezza dell’operazione neppure le obbligazioni argentine acquistate dagli attori presso altra banca e trasferite alla CARIVE il 27.9.2001 (doc. 8 convenuta) – quindici mesi dopo quindi - non essendo stata provata dalla banca veneziana la data di acquisto di tali titoli presso l’altro istituto di credito.

 

In conclusione, in considerazione dell’inadeguatezza dell’operazione, la banca intermediaria avrebbe dovuto fornire la prova delle esplicite avvertenze (di tale inadeguatezza) fornite all’investitore nel contesto dell’ordine, vero e proprio requisito di forma-contenuto richiesto dall’art. 29 reg. consob anche negli ordini telefonici.

 

Non avendo la banca provato di aver espletato tale adempimento, deve dichiararsi la nullità degli ordini di cui è causa.

 

L’istituto di credito convenuto deve essere quindi condannato a versare ai signori A.Z. la corrispondente somma in euro di $ 44.000,00 secondo il tasso di cambio del giorno del saldo, oltre agli interessi legali dal giorno dell’avvenuto pagamento da parte degli attori– dovendosi escludere la buona fede della banca alla luce di quanto sopra illustrato – al saldo.

 

Deve essere invece rigettata la domanda di rivalutazione monetaria, non essendo stata fornita la prova del maggior danno a norma dell’art. 1224 cod. civ.

 

Venendo meno il titolo in virtù del quale gli attori hanno incassato le cedole dei titoli di cui è causa, gli stessi devono essere condannati a restituire alla convenuta la somma di £ 8.498.482, pari a € 4.389,09 oltre agli interessi dalla domanda giudiziale (avendo l’attrice ricevuto tale somma in buona fede) al saldo.

 

Si precisa che non è stata disposta compensazione tra i reciproci debiti delle parti non essendo stata formulata una domanda in tal senso dalla banca convenuta.

 

Infine, essendo venuta meno la causa che legittimava gli attori alla detenzione dei titoli di cui è causa, quest’ultimi devono essere condannati altresì a restituire alla banca le predette obbligazioni.

 

In ordine alle spese di lite, in relazione alla novità della questione ed ai contrasti giurisprudenziali, sussistono giusti motivi per una compensazione integrale delle stesse.

 

P.Q.M.

 

Il Tribunale di Venezia, definitivamente pronunciando nella causa promossa da A.Z. contro la Cassa di Risparmio di Venezia spa, , ogni contraria istanza ed eccezione disattesa,

 

dichiara la nullità degli ordini impartiti dall’attrice in data 20.6.2000 e 3.11.2000 delle obbligazioni “Argentina 11% 96/06 USD” per l’importo complessivo di $ 44.000,00;

 

condanna la banca convenuta a versare agli attori la corrispondente somma in euro di $ 44.000,00 secondo il tasso di cambio del giorno del saldo, oltre agli interessi legali dal giorno dell’avvenuto pagamento da parte degli attori al saldo.

 

condanna gli attori restituire alla convenuta la somma di € 4.389,09 oltre agli interessi dalla domanda giudiziale al saldo;

 

condanna gli attori a restituire alla banca i titoli di cui è causa;

 

compensa tra le parti le spese di lite.

 

Venezia 16.2.06

 

Il Giudice estensore Il Presidente

 

dr. A. Fidanzia dr. R. Zacco

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