DECORRENZA DEI TERMINI PERENTORI EX ART.183, C.6 CPC IN CASO DI DECORRENZA DIFFERITA DEI TERMINI PROCESSUALI



Nota a Ordinanza del Tribunale di Padova 26 gennaio 2017


Pur non essendo completamente enucleabile dall’ordinanza, il fatto processuale sembra potersi così ricostruire: il giudice, riservatosi sulla richiesta delle parti di assegnazione dei termini, previsti dall’art. 183.6 c.p.c. per la precisazione delle domande e la formulazione delle istanze istruttorie, a scioglimento della riserva ha assegnato quelli per il deposito delle memorie con decorrenza dal 31.10.2016.

Sarebbe interessante conoscere la data di deposito del provvedimento per poter valutare, in primo luogo, la ragione per la quale il giudice ha riservato la concessione dei termini, invece che provvedere all’udienza, come da previsione normativa; in secondo luogo, per valutare l’adeguatezza dello spazio temporale tra detta data e il termine del 31.10.

In assenza dei dati relativi, dobbiamo presumere che, tra l’udienza e l’emissione del provvedimento, non ci siano state patologie processuali. In vero il giudice potrebbe, fin dalla prima udienza, invitare le parti a precisare le conclusioni a fronte dì eccezioni d’improcedibilità o inammissibilità della domanda o, comunque, di patologie processuali che gli consentano di decidere la causa in base alla ragione più liquida; oppure doversi occupare dell’emissione di provvedimenti relativi alle ipotesi previste dal comma 1 dell’art. 183 o 185 c.p.c.; oppure ancora essersi riservato sulla richiesta di provvisoria esecutorietà del decreto ingiuntivo opposto.

In dette ipotesi di pronuncia dell’ordinanza fuori udienza, al fine di garantire il corretto esercizio del contraddittorio fra le parti, cui abbia ritenuta essenziale l’uniformità del decorso dei termini – non essendoci certezza che il provvedimento pervenga nello stesso giorno alle parti costituite mediante il sistema informatico – ha stabilito un termine, dal quale far decorrere, con effetto di perentorietà, la facoltà di precisare domande e eccezioni, formulare prove dirette e prove contrarie.

Prima dell’avvento del processo telematico, l’indicazione del termine uniforme per il prosieguo dell’attività processuale era prassi apprezzabile e consolidata, in considerazione dell’incertezza della data di comunicazione, a mezzo ufficiale giudiziario, dei provvedimenti. Oggi la prassi sembra non altrettanto giustificabile (ma si tratta di considerazione non pertinente all’ipotesi che ci occupa).

Ciò premesso, è necessario chiarire la ratio che disciplina il principio della decorrenza dei termini, così come disciplinato dagli artt. 155 c.p.c. e 2963 c.c., che esclude dal computo il giorno iniziale della conoscenza del fatto o del comportamento, dallo spirare del quale decorre il termine 1, che va ravvisata nel fatto che il giorno iniziale è riservato all’acquisizione della conoscenza dell’evento rilevante, di tal che è dal compimento di questo dato temporale che l’ordinamento può pretendere la reazione comportamentale della parte interessata al compimento dell’atto procedimentale conseguente.

Diversa è l’ipotesi nella quale tra il fatto o il comportamento conosciuti, che richiederebbero la reazione, si verifichi una frattura temporale. In tale evenienza saranno l’ordinamento o il giudice a dover stabilire il momento (giorno d’inizio del decorso del tempo) dal quale inizia a decorrere il termine. Così è l’ordinamento a stabilire che, nel caso in cui tra il fatto o il comportamento s’inserisca il periodo di sospensione feriale, il termine inizia o riprende a decorrere dal primo giorno non feriale successivo (oggi 1 settembre, già 16 settembre); come è sempre l’ordinamento a stabilire quello di acquisto d’efficacia delle leggi nel quindicesimo giorno dalla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, che comporta la decorrenza del termine dallo stesso giorno della pubblicazione, cioè della conoscenza presunta del provvedimento.

Se non provvede l’ordinamento, deve provvedere il giudice, indicando il giorno dal quale il termine inizia a decorrere efficacemente. È l’ipotesi dell’ordinanza in commento, che richiama quella precedente e non nota di concessione dei termini del 183, la quale espressamente conteneva l’indicazione “con decorrenza dal 31.10.2016”, che doveva presumibilmente essere giorno diverso e successivo da quello di pubblicazione/comunicazione del provvedimento e che doveva, quindi, essere computato nel termine (nell’improbabile caso di coincidenza con quello della pubblicazione/comunicazione dell’ordinanza le conclusioni dovrebbero essere, ovviamente, diverse).

Nello stesso e condivisibile senso si è pronunciato il Tribunale di Como 2, anche se non è apprezzabile la ragione, per quale ha giustificato il differimento del termine perentorio. 3

(Si ringrazia per il commento l’avv. Giovanni Molin)

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[1] Cass. 30.6.1982 n. 3943

[2] Trib. Como 7.3.2011 in DeJure In caso di decorrenza differita di un termine processuale nota ad entrambe le parti, non trova applicazione la regola dell'art. 155 comma 1 c.p.c., la quale si fonda sul presupposto che il "dies a quo" (o il dies "ad quem" nel caso di termini che si devono computare a ritroso) sia o debba presumersi indisponibile per l'attività difensiva in quanto giorno nel quale avviene o si realizza l'atto o il fatto processuale (o cade l'udienza: art. 166 c.p.c.) in relazione al quale è riconosciuto il diritto al compimento (in un dato termine) dell'attività o all'esercizio (in un dato termine) del potere processuale.

[3] Rinuncia al mandato da parte di un difensore e richiesta dei termini da parte dell’altro. Stando alle regole, anche il difensore rinunciante avrebbe dovuto chiedere i termini in forza del dovere di assistere la parte per gli atti urgenti, quindi comunicare al cliente lo stato della controversia. I termini del 183, infatti, sono perentori e indisponibili per tutti i soggetti del processo, compreso il giudice, trattandosi di principio posto nell’interesse pubblico, costituzionalmente garantito.

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GB 07.03.2017
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